lunedì 24 ottobre 2011









E così se n’é andato anche lui.
Una domenica mattina di fine ottobre, una domenica pomeriggio laggiù in Malesia, si é portata via la vita di Marco Simoncelli. Il ragazzino ricciolone della Moto GP.
Cresciuto
a due passi da Rimini, tirato su a latte biscotti e benzina per motori, cresciuto nella terra dei sogni, uno dei luoghi più gioiosi del pianeta, é morto su un pezzo di asfalto senza nome nel paese di Sandokan.

Dopo Shoya Tomizawa, morto a Misano proprio un anno fa.
Dopo Daijiro Kato, con il suo faccino da bambino, morto nel 2003.

Ma ricordo nomi anche di altre discipline:
Nodar Kumaritashvili, morto durante le olimpiadi invernali, sbalzato dallo slittino contro un pilastro dell’impianto sportivo, un volo leggero come un bambolotto di stracci.
Elena Mukhina e l’ambiziosa follia dell’allenatore che alla fine le é costata la vita.
Sang Lan rimasta paralizzata a soli 17 anni.
Matthias Lanzinger, a cui nel 2008 una caduta nello slalom gigante é costata una gamba.
E mi fermo qui, perché sarebbe osceno continuare un inutile e macabro elenco.


Gli antichi greci hanno inventato le olimpiadi per celebrare la bellezza del corpo umano.
Lo sfoggio dell’armoniosità, l’esaltazione del corpo, come una macchina tecnicamente perfetta.
La celebrazione della bellezza del gesto atletico.

E invece siamo costretti a guardare e riguardare le stesse scene morbose, in loop, in una sequenza di immagini oscene.

Amo tutti gli sport, in particolare adoro la motoGP, ma tutto questo non ha nulla a che vedere con lo sport.
E tanto meno con la bellezza.
Oggi voglio pensare solo alla grazia, all'eleganza, e al coraggio, alla dedizione, alla determinazione di atleti come Aimee Mullins e Oscar Pistorius.
Sperando che ci torni in mente il vero significato dello sport.






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